Data | 09-01-2019 |
Categoria | Cultura |
Fonte | ValsassinaNews |
Quando il professor Marco Sampietro inizia il suo tour per i villeggianti “milanesi” che vogliono scoprire le caratteristiche di Introbio, nei caldi mesi di luglio e agosto, di solito comincia con il soffermarsi su un cippo che è posto praticamente sopra l’incrocio tra viale della Vittoria e via Vittorio Emanuele.
Si tratta di un’ara dedicata a Ercole (Eracle in greco) che è stata incastonata nel muro anteriore di quella che una volta era la chiesa parrocchiale di Introbio, dedicata a Sant’Antonio Abate, oggi nota come Casa Selva, prima che proprio di fronte venisse costruita la nuova parrocchiale a fine Ottocento.
“Ricavata da un nucleo di marmo bianco di Musso – scrive Sampietro in un articolo pubblicato nel 2005 sulla rivista Archivi di Lecco – l’ara, che misura 50×30 cm, è certamente di epoca romana e sembra essere molto antica, come lascia supporre l’indicazione al dativo della sola divinità”. Nel cippo, oltre che il nome del semidio greco-romano, è stata scalpellata anche una data, 1595, probabilmente l’anno in cui l’ara è stata inglobata in quello che una volta era il campanile della chiesa.
Ma perché è molto interessante quest’ara? Il culto di Ercole, il fortissimo eroe che da bambino strozzò due serpenti che qualche malevolo gli aveva messo nella culla, deriva dal culto greco, passando però poi a essere venerato dai sanniti, il primo popolo in Centro Italia (Abruzzo) che ebbe a che fare con i romani: le tre guerre sannitiche andarono dal 340 circa al 290 avanti Cristo e furono guerre molto combattute, in cui ci fu anche l’umiliante episodio delle “Forche Caudine” (soldati in fila presi a calci e spintoni).
La sua figura però diventò molto popolare in tutto il Mediterraneo: era, dice sempre Sampietro, “un eroe innalzato alla divinità per i suoi meriti straordinari: il che non impedì tuttavia, anzi facilitò, che molti preferissero rivolgersi a lui, perché meno solenne, più a portata di mano, più ‘simpatico’, insomma, rispetto a Giove, Giunone ed altri”. Altre lapidi o are dedicate a Ercole sono state ritrovate anche a Lomagna, Besana, Barzanò e Abbadia Lariana, a testimonianza di un culto abbastanza diffuso nelle nostre zone.
Il cippo, già notato dallo storico Giuseppe Arrigoni nel 1856, quindi attesta che qualche suo estimatore c’era anche in Valsassina, prima della diffusione del Cristianesimo.
Un’altra ara oggi perduta invece parlava del Sole Invicto: anche qui siamo alla ricerca di una nuova religiosità che doveva sostituire quella antica, greco-romana, prima che trionfasse quella nuova, cioè il Cristianesimo. Nei primi secoli dopo Cristo, prima di Costantino, nessuno infatti avrebbe scommesso molto sul trionfo della predicazione di Gesù: altre religioni avevano larga diffusione a Roma, come quella siriana del Dio Baal (proveniente da Palmira), Mitra (forse il Dio Sole), quella egiziana (Iside e Osiride) e celtica (mai spenta del tutto).
Che comunque Introbio fosse una importante stazione militare per i Romani lo scriveva già l’Arrigoni, nelle “Notizie Historiche della Valsassina” 1840: il suo ruolo era quello di “custodire il passaggio della Valsassina”, trovandosi in un luogo “opportunissimo, perché posto all’imboccatura della Valle di Troggia, per la quale si andava direttamente, e in poche ore, nella Rezia”.
In effetti, Introbio è il primo paese della media Valsassina, posto all’imbocco della Troggia, dove passava un’importante strada romana (la via Gentium) che, raggiunta Biandino e la testata della Valvarrone, scendeva verso la bocchetta di Traona lungo la valle del Bitto, giungendo a Gerola Alta e a Morbegno; una deviazione conduceva invece a Premana e da qui a Casargo o a Pagnona. Era questa, dunque, la via più diretta che da Milano conduceva alla Valtellina, usata anche per gli spostamenti militari, non solo ai tempi dei romani, ma anche più recentemente dai lanzichenecchi del Cinque-Seicento, nelle guerre dell’epoca.
Ma un’altra testimonianza dell’età romana ci sarebbe sempre a Introbio dove – ne parleremo ancora – furono ritrovate delle tombe celtiche del IV secolo a.C., come anche a Barzio, quando all’inizio del Novecento venne costruito l’Albergo Introbio nella piazza centrale (poi abbattuto, oggi al suo posto c’è un complesso edilizio e una banca). Si tratterebbe, secondo il giovane ingegnere Federico Oriani, che con Sampietro ha curato diverse pubblicazioni di storia valsassinese, nientemeno che del campanile della chiesa di San Michele.
Come infatti ci ha illustrato un altro ingegnere molto famoso, Pietro Pensa di Esino, in alcuni suoi libretti, i romani erano soliti costruire alte torri da cui non solo controllare visivamente il territorio circostante, ma anche dalla sommità di queste scambiarsi dei veri e propri “segnali di fumo” o di fuoco per allertare i soldati in caso di pericolo o di invasioni.
Da una di queste torri sarebbe dunque nato il campanile della chiesa di San Michele: a suffragio di questa sua tesi Oriani porta il fatto che l’ingresso-finestra del campanile è posto molto in alto, com’era in uso presso queste antiche torri romane: in caso di attacco i difensori potevano ritirare la scala esterna da cui salire, e chiudersi nella torre in una difesa abbastanza impenetrabile.
Anche questa teoria è sicuramente molto interessante.
Enrico Baroncelli